L’ultima è la lettera sottoscritta da una sessantina di dipendenti, la metà di quelli entrati in cassa integrazione (che sono 121, mentre altri 63 ora distaccati si aggiungeranno a fine legislatura), nella quale si chiede al partito di «cambiare rotta». In pratica: i vertici ci mettano la faccia in modo «corale formale e pubblico”, si racconti quale è il piano di rientro, si avvii «un reale coinvolgimento dei lavoratori». Tutta roba che, a quanto pare, non c’è stata.
Nel mirino c’è Francesco Bonifazi, 41 anni, renziano da sempre e tesoriere del partito, accusato di assoluto disinteresse per la questione. Raccontano che quest’estate alla trattativa non ci fosse, tanto addirittura da provocare stupore al ministero del Lavoro («è la prima volta, in casi così, che il tesoriere manca»), la sua firma nemmeno figura sull’accordo.
Naturalmente Bonifazi controargomenta di aver fatto il necessario, che sbagliano gli altri. Ma l’aria che tira, mescolata alla tendenza renziana (via via più spiccata) di appaltare all’esterno – società, consulenze e altri contenitori – pezzi anche importanti dell’attività, come nella comunicazione, fanno temere a taluni che il licenziamento dei dipendenti sia dietro la porta. Senza troppi complimenti.